Oggi si parla moltissimo di stereotipi di genere, ovvero quelle credenze sociali secondo cui ci sarebbero specifici comportamenti, ruoli e occupazioni associati a una persona, in relazione alla sua appartenenza di genere.
Purtroppo gli stereotipi di genere esistono anche nel settore dell’istruzione e, nello specifico, in ambito scientifico. Basti pensare che, a fronte di una media europea di circa 21 laureati in materie scientifiche ogni 1.000 giovani (tra i 20 e i 29 anni), le laureate sono solo 14,9, mentre i laureati sono quasi il doppio, 27,9. Questo gap risulta essere presente in misura variabile in ciascuno Stato dell’Unione europea.
Istruzione e stereotipi di genere in Italia: a che punto siamo?
Ad oggi, nel 99% delle province italiane si registra un quota femminile di immatricolazioni universitarie molto maggiore rispetto a quella maschile, e si riscontra un 83% di ragazze diplomate o laureate contro un 74% di ragazzi.
Nello specifico, però, i settori formativi verso i quali le giovani donne risultano più propense sono ancora percorsi di tipo umanistico, artistico o quelli riguardanti la formazione e la cura della persona.
Non stupisce, infatti, che nel 2020 la percentuale di laureati in ambito informatico e nelle materie STEM sia rappresentata per l’85% da maschi. Nello stesso anno, le donne che lavorano in ambito tecnico-scientifico sono solo il 15%.
In Italia, la quota di laureati Stem (acronimo che sta per Science, Technology, Engineering and Mathematics) si attesta a 19,4, mentre quella delle laureate è di 13,3.
L’influenza del retaggio culturale e i tentativi del mondo tech
Una dinamica originata soprattutto da fattori socio-culturali, che vedono la figura della donna maggiormente legata, rispetto all’uomo, a compiti educativi e di cura all’interno della società.
La conseguenza è quella di una preclusione per le donne a posizioni professionali e di carriera che ad oggi, in un mondo sempre più digitalizzato, rappresentano quelle meglio retribuite, più stabili e più ricercate sul mercato del lavoro. Il divario di genere quindi, seppur ridotto o annullato in alcuni ambiti, risulta essere ancora presente, anche nei settori lavorativi meno diffusi.
In un contesto come quello del mondo tech, competenze e capacità rappresentano l’unica “conditio sine qua non” necessaria per poter ottenere un lavoro. Di conseguenza, c’è maggiore meritocrazia per tutti.
Molte realtà aziendali in questo ambito hanno già iniziato a creare percorsi formativi in forma smart e fruibili anche da remoto, per offrire la possibilità di formarsi adeguatamente rispetto alle richieste di lavoro più impellenti nella digital industry.
Grazie a realtà come Epicode, una delle principali coding school d’Italia, per esempio, studiare e trovare lavoro è oggi molto più semplice. La scuola propone corsi professionalizzanti da remoto per formare le figure più richieste nel mondo tech. Si potrà lavorare su progetti reali e studiare comodamente da casa propria, risparmiando eventuali soldi da investire su affitto o trasporti.
Un’iniziativa per promuovere la parità di genere
Da realtà come queste non mancano le iniziative volte a incentivare la parità di genere nel settore Ict (Information and Communication Technologies). A novembre 2021, per esempio, la scuola ha concesso dieci borse di studio riservate esclusivamente alle donne.
Per la durata di otto settimane, con forma full-time, le partecipanti con diritto di accesso hanno avuto la possibilità di completare gratuitamente un percorso formativo finalizzato all’inserimento in qualità di SAP Consultant in EY, una multinazionale leader nell’ambito della consulenza e della digital transformation.
Ancora oggi, le stem rappresentano sicuramente un fronte di sfida importante per la parità di genere, ma la consapevolezza del problema si sta facendo sempre più concreta tra la popolazione e le aziende, e dei passi in avanti sono stati fatti. Non ci resta che incentivare quanto più possibile questa tendenza, non solo in ambito lavorativo e professionale, ma sociale.
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